sabato 2 agosto 2008

DE IURE CONDENDO sul Vostro cellulare

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Avv. Alessandro Reggiani

giovedì 26 giugno 2008

Norma certa, Giurisprudenza incerta.

Ritengo che l'art. 190 c.p.c. non ponga alcun problema interpretativo. La sua formulazione è chiara e inequivocabile. Eppure, anche a fronte di una norma, la cui formulazione è ineccepibile, si è formata una Giurisprudenza di merito a dir poco aberrante e contraddittoria. Intendo riferirmi alla Sentenza del Tribunale di Roma del 06 gennaio 2007, la quale ritiene inammissibile il deposito della memoria di replica, qualora la stessa parte non abbia provveduto, prima, al deposito della comparsa conclusionale. Scrive il Tribunale: “Il convenuto non risulta infatti aver mai depositato una comparsa conclusionale, di talché il deposito della c.d. “replica” si traduce in fatto nella possibilità per il convenuto di depositare la propria conclusionale dopo il deposito di quella dell’attrice, il che è inammissibile in quanto altera profondamente la logica processuale di cui all’art. 190 c.p.c.. Il deposito della replica non è infatti una facoltà che la parte può esercitare quomodo libet, ma è lo strumento processuale - come lo stesso lemma indica - per contrastare, replicare, alle allegazioni avverse. Ne consegue che il deposito della replica è soggetto alla condicio juris del previo deposito della conclusionale”.
Appare a tutti evidente che la comparsa conclusionale e la memoria di replica hanno natura profondamente diversa: la prima è uno scritto che riepiloga tutte le argomentazioni difensive, sia in fatto che in diritto, anche sulla base degli elementi emersi durante la fase istruttoria; la seconda, invece, è limitata alla contestazione delle argomentazioni svolte dalla controparte nella comparsa conclusionale e, quindi, ha come presupposto l'avvenuto deposito della conclusionale avversaria e non della propria.
In modo, a mio giudizio, aberrante e contrario al dettato legislativo, il Tribunale di Roma equipara sic et simpliciter la comparsa conclusionale alla replica, così dando per scontato l'eventuale intento dell'avvocato di depositare proditoriamente la conclusionale oltre il termine previsto dall'art. 190 c.p.c., al fine di impedire all'avversario di replicare.
E' evidente, peraltro, che, laddove il difensore non si limti soltanto a contestare le argomentazioni avversarie, ma formuli considerazioni a sé stanti, il Giudice non dovrà tener conto di queste ultime nella sua decisione, ma non potrà, solo per questo, ritenere inammissibile l'intera memoria di replica.
Ci auguriamo che tale decisione, così come poche altre pronunciate in precedenza dal Tribunale di Napoli e dal Tribunale di Termini Imerese vengano riformate nei successivi gradi del giudizio.

Avv. Alessandro Reggiani

domenica 2 marzo 2008

L'ultimo Scandalo: Il Decreto Milleproroghe

In data 27 febbraio 2008 è stato convertito in Legge il D.L. 31 dicembre 2007, n. 248 (c.d. Decreto Milleproroghe).
Alla faccia della semplificazione normativa! La Legge risulta eterogenea ed incomprensibile non solo al cittadino comune, ma anche agli addetti ai lavori, in ragione dei continui rinvii ad altre norme nelle più disparate materie. Ma lo scandalo più eclatante è contenuto nell'art. 36, comma 4-ter, il quale recita: ”La cartella di pagamento di cui all’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni, contiene, altresì, a pena di nullità, l’indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1º giugno 2008; la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse”.
Si tratta di un vero e proprio condono per Equitalia, lesivo dei diritti fondamentali del cittadino e tipico di uno stato feudale. Si rimane davvero allibiti dinanzi alla tracotanza e alla spudoratezza di una classe politica che se ne frega totalmente della Costituzione e dei principi dello Stato di Diritto.
Chi ha scritto e votato tale norma, infatti, ha deliberatamente contravvenuto a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con l'Ordinanza del 09 novembre 2007, nella quale si era espressamente affermato l'obbligo di indicare il responsabile del procedimento nelle cartelle di pagamento. No solo! Tale norma contrasta chiaramente con lo Statuto del Contribuente (L. 212/2000), che sancisce il principio di irretroattività delle norme tributarie e l'obbligo di Buona Fede nei rapporti tra contribuente e Amministrazione Finanziaria, nonché con la Legge sulla Trasparenza degli Atti Amministrativi (L. 241/90), che prevede la nullità di ogni provvedimento amministrativo mancante degli elementi essenziali.
Questo è soltano uno degli innumerevoli esempi di come, taluni governanti, considerano gli Italiani sudditi e non cittadini.

Avv. Alessandro Reggiani

domenica 10 febbraio 2008

Un esempio virtuoso

Negli Stati Uniti, ogni anno, nascono circa 50.000 controversie brevettuali. Di queste, soltanto il 4% approda alle aule di giustizia. Il restante 96% viene risolto dagli avvocati, i quali, dopo una attenta disamina della fattispecie ed una approfondita ricerca giurisprudenziale, persuadono i clienti ad astenersi dal procedere, ovvero a trovare una soluzione transattiva, in previsione di quella che potrebbe essere la decisione del giudice, nella ipotesi in cui venisse radicata la causa.
Questo dimostra quanto sia di estrema importanza, ai fini di una maggiore certezza del diritto e di una riduzione del carico dei procedimenti, il formarsi di una Giurisprudenza di legittimità coerente e adeguatamente valorizzata in tutti i gradi del giudizio.
Mi pare che la modifica proposta nel precedente post del 05/02/2008, sia un primo passo in questa direzione.

Avv. Alessandro Reggiani

martedì 5 febbraio 2008

La "certezza del diritto" e il processo civile.


Il problema della "certezza del diritto" è in buona misura dipendente dalla tecnica legislativa adottata e dallo sviluppo dell'interpretazione giurisprudenziale.
Troppe sono le norme mal formulate o lacunose, che non danno contezza ai cittadini dei loro effettivi diritti.
Ciò può dare adito a molteplici interpretazioni, comportando l'instaurazione di contenziosi i cui tempi si dilatano esponenzialmente nei successivi gradi di giudizio.
Alle carenze, sia culturali che tecniche, del legislatore deve quindi sopperire la giurisprudenza di legittimità con orientamenti interpretativi non di rado in contrasto tra loro.
Chi siede in parlamento dovrebbe essere in possesso di requisiti che garantiscono una adeguata conoscenza delle materie giuridiche e della tecnica legislativa. Tuttavia una riforma in tal senso appare di difficile attuazione se non addirittura utopistica.
Più concreta, invece, è la possibilità di migliorare l'accuratezza delle decisioni sin dal primo grado del giudizio, onde conferire maggiore valenza ed efficacia a quell'attività giurisprudenziale che si pone come necessario correttivo alle insanabili deficienze del legislatore.
Una maggiore certezza del diritto significherebbe anche maggiore possibilità di prevedere l'esito di una eventuale causa. Ciò comporterebbe un aumento delle definizioni delle vertenze in sede stragiudiziale ed una contemporanea riduzione del contenzioso civile.
Un tale obiettivo potrebbe essere perseguito mediante alcune semplici modifiche al codice di procedura civile, quali, ad esempio, quelle di seguito indicate (sono evidenziate in grassetto e corsivo le parti che dovrebbero essere aggiunte):


Art. 132. Contenuto della sentenza.

La sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano e reca l'intestazione: Repubblica Italiana.
Essa deve contenere:
1) l'indicazione del giudice che l'ha pronunciata;
2) l'indicazione delle parti e dei loro difensori;
3) le conclusioni del pubblico ministero e quelle delle parti;
4) la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione;
4-bis) la dettagliata esposizione, in apposita sezione della motivazione, delle ragioni in fatto e in diritto, per le quali non si ritiene applicabile, ovvero non si ritiene di condividere, l'orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione eventualmente invocato dalle parti nei rispettivi scritti difensivi;
5) il dispositivo, la data della deliberazione e la sottoscrizione del giudice.
La sentenza emessa dal giudice collegiale è sottoscritta soltanto dal presidente e dal giudice estensore. Se il presidente non può sottoscrivere per morte o per altro impedimento, la sentenza viene sottoscritta dal componente più anziano del collegio, purché prima della sottoscrizione sia menzionato l'impedimento; se l'estensore non può sottoscrivere la sentenza per morte o altro impedimento è sufficiente la sottoscrizione del solo presidente, purché prima della sottoscrizione sia menzionato l'impedimento.

Art. 161. Nullità della sentenza.

La nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione.
Questa disposizione non si applica quando la sentenza manca della sottoscrizione del giudice.
La mancanza del requisito previsto dall'art. 132, secondo comma n. 4-bis è causa di nullità insanabile e deve essere rilevata d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Avv. Alessandro Reggiani